Francesco Moschini, 2004
Introduzione alla mostra


Tra le novità sorprendenti dell'attuale stagione creativa dell'itinerario poetico di Peter Flaccus va sicuramente riconosciuta l’accensione cromatica dei suoi lavori. L’artista sembra passare dalle predilezioni monocromatiche, dai toni mai squillanti nè pirotecnici degli anni novanta, alle attuali "esplosioni", deflagrazioni di materia organica ed inorganica. Anche dal punto di vista puramente iconografico, l'artista sembra diversificare il proprio itinerario progettuale, pur nella continuità delle tecniche di lavorazione dell'encausto. Si passa così dai tempi "decelerati" di un insistito lavoro iniziale, che molto alludeva ai momenti "estenuanti" per richiamare labirintici percorsi fino a farli diventare pattern pieni di allusioni, al tema dell'arabesco, della decorazione, del tatuaggio teso a debordare fino ai limiti fisici della tela, alla fase odierna in cui l'opera si pone come accadimento improvviso. Ma questa soltanto apparente accelerazione sottende la stessa spasmodica attenzione dei lavori precedenti: la meticolosità, l’accuratezza nel modo di stendere la materia, nel farla rapprendere, nel fermarla nei tempi prefissati dall'artista. Nulla è lasciato all'improvvisazione, o all'accettazione subita di reazioni incontrollate della cera. Assistiamo in questa fase del lavoro di Peter Flaccus a una celebrazione dell'epifania del sacro. C'è infatti una ritualità, in questa minuziosa coazione a ripetere, che prevede gli stessi religiosi gesti ogni volta che l'artista si china sulla tavola, stesa orizzontalmente di fronte a se, per essere inondata dalla materia fecondatrice che con poche, sapienti e dosate aggiunte di pigmenti, alluderà ancora e sempre alla "miracolosità dell'origine del mondo". Si passa così alla predilezione per ogni forma di arcaismo figurativo, per cui i suoi elementi ricorrenti potrebbero riferirsi alla primordialità delle cellule dei protozoi, al vitalismo di elementi embrionali. Certo c’è da parte dell'artista una sottolineata ricerca di dissonanza in quel suo ricorrere da sempre a tecniche antiche, di alta ed ardita tradizione, per giungere poi a risultati figurativi con una esibita modernità dell'immagine, della materia e del colore. E' vero che da tempo Flaccus ci aveva disabituati alla tradizione più ovvia del pennello, ma proprio il suo ricorrere costante all'invenzione metodologica, ai continui sperimentalismi del suo modus operandi, sembravano garantirci una possibile trascurabilità nei confronti dell'ossessione per la forma. La stessa forma invece, sorprendentemente, diventa elemento centrale del suo percorso artistico proprio nel momento in cui pare sottolinearne la sua dissoluzione, la sua rarefazione, il suo cupio dissolvi, attraverso la continua opera di smaterializzazione attuata con la rarefazione cromatica, che dal nucleo centrale, dalle sue "infiorescenze", dalle sue deflagrazioni, si estende e si espande, a volte per osmosi, sino a generare aloni successivi, fino allo sfrangiamento dei contorni attraverso cadenzate "terre di nessuno", zone di quiete tra mari di tempeste. Nelle opere di grande formato, Flaccus ricorre alla separazione dei diversi campi cromatici, creando marcate divisioni di appartenenza, come se volesse ascrivere ad ogni fondo la propria figura ideale, con il tentativo di sottolineare l'inestricabile continuità tra le ambigue presenze che compaiono nei suoi lavori, sempre spiazzate nella diversità, della loro giacitura, e nel loro collocarsi lateralmente, per approdare ad una possibile via di fuga. I suoi motivi oscillano così tra l'ostentazione della propria presenza ed il loro mostrarsi come pure meteore, se non presenze larvali destinate a scomparire immediatamente dal campo visivo del quadro, quasi a sprofondare nella sua stessa matericità che si rinserrerà sopra le stesse. Anche qui si allude a uno dei più alti risultati della modernità, delle avanguardie storiche del Novecento, in particolare, a quel tentativo di far compenetrare, sin quasi a fondere le figure, che a fatica si staccavano dalla monocromaticità del loro territorio di appartenenza, se non di elezione.