Brunella Antomarini, 2004
Fotogrammi di periferie mobili


1.
Entriamo nell’officina di un Vulcano delicato, che non forgia a forza di colpi sul ferro, ma accompagna lentamente una materia morbida verso il suo naturale compimento. Nella sua lunga ricerca sulla materia, l’alchimista Peter Flaccus versa e riversa, solidifica e squaglia, trasmuta. Ma soprattutto osserva e contempla. E ci riporta le forme così come lui le fa arrivare da uno spazio chimico-fisico adatto, se le prende e ce le porta. C’è un segreto da rubare, da rifare sempre. Le forme non si fermano.

2.
Così come l’alchimista ruba segreti alla natura, noi ne rubiamo alcuni (solo alcuni) a lui: la cera d’api viene fusa con altre sostanze e poi solidificata. Viene sciolta in un pentolino, scaldata a una certa temperatura in modo che non ingiallisca e non si spacchi in piccole crepe al momento di stenderla. Al centro della base di legno, riscaldata e sistemata in modo perfettamente orizzontale, con una livella, si possono mettere (o no) anelli concentrici di latta, quasi in rapporto di sezione aurea con l’intera superficie. Tutto questo lavoro va fatto molto lentamente, segue l’andamento dei processi chimici, è fatto di attese: si aspetta che la cera si sciolga, si fa attenzione che non si scaldi troppo, si aspetta che il legno si scaldi abbastanza, si controlla che la cera sia mantenuta liquida e calda.

3.
Poi tutto aviene nel minimo tempo possibile.

Un attimo prima di gettarla, si tinge rapidamente la cera calda con pigmenti colorati, ma all’ultimo momento, perchè a causa della temperatura il rosso può diventare marrone, il bianco giallo. Si mescola appena, il colore si amalgama immediatamente. Sul legno ancora caldo, si versa subito il colore che costituirà lo sfondo del quadro, e subito si versa il colore centrale dalla pentola a una caraffa con un beccuccio.

Si effettua una colata intorno agli anelli, poi un’altra al centro con la caraffa, dirigendo il beccuccio. In un attimo si decide che ne sarà del salto di stato.

4.
Si tolgono gli anelli.

Si osserva.

5.
Il colore centrale si spande e si mischia in profondità con il colore di fondo. Comincia il lavoro della natura, l’artista è il primo spettatore del lavorio lentissimo di irradiazione della macchia che cambia, e non smette la sua metamorfosi per una ventina di minuti almeno e alcune parti sembrano ferme ma poi vengono mosse da altre, e striature diventano bolle e le bolle si allungano, un colore si disperde in un altro o lo attenua, un altro rinvigorisce un alone intorno e l’alone piano piano sparisce e poi ritorna sotto altre sfumature. Il processo rallenta sempre di più ma non si ferma.

6.
Dopo mezz’ora tutto sembra definitivo ma ora sappiamo che non lo è. L’alchimista è ora una specie di levatrice che soffia qua e là, incoraggia e orienta, sposta leggermente, rimuove eccessi di colore, raschia un piccolo rigonfiamento, riscalda ancora un’altra piccola parte di superficie. Un lavoro quasi di scultura, perchè la cera intrappola sfumature e colori e, togliendo qua e là, riaffiorano. Ma la materia in metamorfosi vive ora di vita sua e decide la sua forma a seconda della differenza di temperatura tra una colata e l’altra, o dell’impatto tra un colore e l’altro.

Quando l’opera viene spostata alla parete, in verticale, per gli occhi, la macchia ancora si diffonde, ma in un tempo talmente lento che gli occhi non sono adatti a registrarlo. L’espansione ora continua a muoversi mentalmente.

7.
L’intenzione non c’entra con l’arte. L’arte è una relazione con un processo che non dipende dall’artista. È un lavoro di estrema precisione affinchè il caso detti le sue regole. Gesti di privazione, di rinuncia, che si limitano a imprimere un moto iniziale a un processo autonomo. Perchè si possa contemplarlo.

Ci sono regole percettive, regole tecniche e regole metafisiche di questa contemplazione sperimentale:

Regole percettive:
- che appaiano forme come cellule, organismi, fiori, baci, buchi, e che nello stesso tempo non lo sembrino;
- che la forma appaia completa e come se fosse quella desiderata;
- che una fonte identica e amorfa produca un’infinità di forme in espansione indefinita;
- che la profondità sia il risultato della trasparenza della cera e dell’accostamento e del lieve sovrapporsi di colori diversi;
- che la forma appaia da nient’altro che la materia stessa e il suo comporsi.

Regole tecniche:
- che il colore non si mischi sulla superficie;
- che il colore centrale sia più chiaro di quello esterno, perchè lo scuro è il limite dell’espansione, il chiaro è il massimo dell’energia che si sparge;
- che si ottenga un senso di omogeneità;
- che la macchia mantenga un carattere centrifugo e inondi una periferia.

Regole metafisiche:
- che la materia si manifesti nella transizione dallo stato liquido a quello solido e nel passaggio sia potente in un modo che nessuna matematica lo possa prevedere;
- che quindi sia il tempo a decidere del risultato;
- che venga preso in prestito e rifatto il lavoro della natura;
- che l’arte sia quel momento di stacco dall’identico all’infinitamente variabile;
- che il processo di espansione venga mantenuto sulla superficie verticale.

Anche le montagne si muovono continuamente, a una percezione adatta.

8.
Questi quadri vanno contemplati. Ogni macchia di materia e di luce è una sezione trasversale di molti cerchi. Ogni macchia è periferica, ruota, come in una specie di prospettiva aerea e obliqua. Il rettangolo del supporto di legno è il contenitore che isola l’evento compiuto, utile al trasporto di quell’ambiente in metamorfosi impercettibile, che però sta lì, semplice e integro. Un rettangolo che non serve ad attrarre l’attenzione verso il centro del quadro, secondo la tradizione pittorica, ma al contrario a dare un limite casuale all’espansione.

9.
Alcuni di questi quadri raccolgono più macchie disposte ognuna nel proprio ambiente sperimentale: così si ottiene una trasmissione continua dei punti di luce, uno delimitando l’altro, decentrando l’altro. La periferia ne viene rafforzata, e anche la diffusione e il senso di movimento irraggiante, continuato oltre la percezione. Il cerchio è la forma autonoma per eccellenza: dalla sfera metafisica alla macchia d’olio, l’espansione avviene così, in tondo o in ellisse, senza bisogno di costruzione (nè umana nè divina). Senza spigoli nè coordinate, nè sopra nè sotto nè centro, nè simmetria, nè riflessi speculari. Il centro è solo un fotogramma di una periferia mobile.

10.
Questi quadri si guardano allo stesso modo di come sono accaduti, seguendo transizioni chimiche e spostamenti casuali, si auto-formano e si auto-regolano.

Le opere ci dicono come siamo, quando il nostro orientamento diventa irrilevante e la volontà non serve. Siamo nel secolo nuovo, che cerca strade oltre le pretese della volontà.

11.
Nelle arti marziali orientali, se si vuole vincere, si ignora l’attacco e si dimentica la competizione, perchè non avviene un combattimento tra sè e un altro, ma un concatenarsi di eventi necessari, che bisogna solo saper assecondare. Lì non ci sono vincitori, ma solo compimenti necessari. Il susseguirsi inesauribile delle forme è arrivato a questo punto di libertà. Non ci appartengono. Ne possiamo solo rubare il segreto poietico. Rifarle, rispettarle e poi restituirle.